In scena al Teatro Argentina di Roma Don Giovanni di Moliere con la regia del nuovo direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, Valerio Binasco
Valerio Binasco per affrontare il famoso mito di Don Giovanni Tenorio la prende alla lontana e apre il suo Moliere con un Prologo succinto, in cui racchiude l’essenza della seduzione fra uomo e donna, elementi essenziali affinché quella cosa sconosciuta, quel sentimento a perdifiato, quello smarrimento della ragione che viene formalizzato sotto il nome di Amore, possa avere libero sfogo. Il regista dedica dunque il suo sguardo sull’Amore e a colui che ha brevettato la figura del Don Giovanni: Tirso De Molina, poche parole, di un dialogo frammentato, mettono a confronto, distillandone, le caratteristiche fondamentali che attraggono/respingono l’animale maschio da quello femmina del genere umano.
Ma presto ci sarà chiaro chi è Giovanni Tenorio, secondo il regista di Novi Ligure uno sfollato, un disadattato, un borderline che vive ai margini della società. Un giovane tronfio e lievemente erudito, allontanato dalla propria famiglia poiché vergogna da occultare e non da esibire, un giovane scapestrato che esercita il suo potere di giocare con le parole per sedurre donnicciuole sprovvedute e provincialotte. E gli è da sostegno un altro personaggio dalle dubbie capacità intellettive, Sganarello, che per una misera paga, e non solo per quello forse, segue e protegge il suo padrone nelle sue romanzesche avventure amorose. Che se per una parte vorrebbe sbuggerarlo per l’altra è sempre pronto a proteggerlo. E quella misera paga che lo tiene legato come un cane obbediente al suo conduttore, quel compenso ridicolo, misero, che lo tiene in vita, si trasforma in un urlo spaventoso, angosciante per un finale che non prevede nulla di buono. Un urlo che finisce per essere zittito da un sipario inevitabile che scorre sulla tragedia della vita. Nell’intimo dell’incombenza di un enorme padiglione d’ispirazione vagamente japanese, di rosso scolorito (la scena è di Guido Fiorato), l’azione – spoglia sgombra di orpelli, inevitabile, inesorabile, Binsco sembra ritrovare l’asciuttezza delle prime regie – si svolge. Il terzo atto che coincide con l’inizio della seconda parte dello spettacolo sembra ravvisare delle assonanze bekettiane con quell’assurdo dialogo sull’esistenza di un soprannaturale, sconosciuto, eppur di vitale importanza; e da quel momento in poi una luna incombente e ravvicinata connota una china surreale e oscura della commedia assecondando il finale onirico molieriano. La risata sbruffona e strafottente del protagonista s’imbatte con un passato ingombrante, quella statua, così naturale, del commendatore trascinerà Don Giovanni nelle tenebre dell’inferno, non c’è salvezza per Lui se non nella redenzione. La coppia composta da Giovanni/ Sganarello ben tradotta sulla scena da Gianluca Gobbi e Sergio Romano con generosità e bravura, sembra scoppiare nella detonazione interpretativa in uno inter-scambio intenzionale che va dal paternalistico alla fraterna complicità. Lo spettacolo ha segnato il debutto come direttore artistico di Valerio Binasco alla guida del Teatro Stabile di Torino ha debuttato al Teatro Carignano nell’aprile 2018 ed in questi giorni è stato di scena al Teatro Argentina di Roma con un notevole successo di pubblico.
DON GIOVANNI di Molière
con Gianluca Gobbi, Sergio Romano, Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Fulvio Pepe, Ivan Zerbinati
scene Guido Fiorato
costumi Sandra Cardini
luci Pasquale Mari
musiche Arturo Annecchino
regia Valerio Binasco
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Teatro Argentina, Roma dal 8 al 20 gennaio
COMMENTI