Rosso omaggio drammaturgico a Mark Rothko con Ferdinando Bruni

Rosso omaggio drammaturgico a Mark Rothko con Ferdinando Bruni

Quando l'architetto Philip Johnson commissiona una serie di dipinti che serviranno a decorare il ristorante ultra lussuoso The Four Season di New York Mark Rothko accetta con molto entusiasmo ma dopo due anni di tormentati dissidi con se stesso e la funzionalità dell'arte declina l'invito restituendo l'acconto che aveva percepito

Che bello quando si ha la possibilità di avere accesso agli atelier degli artisti, quei luoghi magici e misteriosi all’interno dei quali l’artista si rinchiude ritrovando l’armonia – non senza un tormentato atto creativo – con se stesso e con il mondo per poi uscire a quello stesso mondo protetto, difeso, sicuro con delle opere che tutti possono ammirare, criticare, acquistare. Ecco quello che Ferdinando Bruni, Alejandro Bruni Ocaña e Francesco Frongia – rispettivamente interpreti e regista – fanno con Rosso è proprio questo, con la messinscena del testo scritto da John Logan, sceneggiatore e drammaturgo statunitense, lo spettatore grazie a questa spettacolo può finalmente curiosare, spiare, quasi intervenire, mentre avviene l’atto creativo dell’artista. In scena al Teatro India di Roma e prodotto dal Teatro dell’Elfo è uno spaccato di vita creativa, sanguigna di Mark Rothko. Un set pressapoco cinematografico che racconta in modo iperrealista lo studio dell’artista, con tanto di fornelletto acceso per ottenere il colore prescelto o la radio dell’epoca dove magari ascoltare Le Quattro Stagioni di Vivaldi. Un luogo ovattato senza luce naturale, poiché è luce sbagliata, dove ci si può immergere nelle sue opere, era questo desiderio dell’artista dove poterle esporre, ma che può diventare anche una prigionia o una torre d’avorio da dove è impossibile poter ascoltare il mondo esterno.

ROSSO di John Logan (prove) regia di Francesco Frongia con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña produzione Teatro dell'Elfo Foto di Luca Piva © 2012

Mark Rothko, russo di origini ma americano di adozione, è uno degli esponenti maggiori del neo espressionismo americano (astratto?) del novecento, anche se lui giustamente non si riconosceva in questa valutazione così riduttiva, l’artista come tutti i veri grandi talenti è espressionista e molto altro, ha fotografato impressionando sulla tela, enormi tele, colori essenziali, vergini, materici che però esprimono in maniera violenta, in un concentrato di emozioni, tutto l’essenza del mondo contemporaneo. Alla fine degli anni cinquanta l’artista, già famoso, ricevette una commissione da parte dell’architetto Philip Johnson di decorare le pareti del ristorante The Four Season con una serie di dipinti che avrebbero costituito un esposizione permanente. Rothko si mise subito al lavoro ma dopo una serie di tentativi, angosciato dalla funzionalità dell’arte, dopo due anni di concentrato e duro lavoro decise di rinunciare alla commissione. Lo spettacolo è uno tormentato spaccato del vissuto dell’artista intorno a quel periodo, con tutte le sue problematiche e preoccupazioni. E come sempre avviene in una bottega di un grande artista c’è un allievo, qui impersonato dal giovane Ken, sarà proprio lui a condurre il proprio maestro verso la coraggiosa scelta.

Diventato oramai uno spettacolo di repertorio del Teatro dell’Elfo, vede Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña che ne sono  i degni e coinvolti interpreti, diretti in modo miracoloso da Francesco Frongia è un piccolo grande capolavoro di teatro totale, palpitante, rabbioso, esaltante, in cui emozione e talento vanno di pari passo, in cui confluiscono tutte quelle complicate energie che riguardano quella cosa chiamata Arte. Nello scontro generazionale la serata trova il suo punto di forza. L’artista massimo è costretto anche contro la propria volontà e la sua misantropia a confrontarsi col giovane aiutante, pittore anch’esso, ad uscire metaforicamente fuori da quel guscio di sicurezze che si era costruito. Nessuno ha bisogno dei bisogni degli altri ma in un comune soccorso, aiutante-maestro/padre-figlio, riescono a trovare reciprocamente una propria strada per poter proseguire coerentemente e serenamente il proprio individuale percorso di vita. Che poi la vita possa coincidere anche con l’Arte questo è solo un particolare insignificante.

ROSSO di John Logan

traduzione di Matteo Colombo

regia, scene e costumi di Francesco Frongia

con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña

produzione Teatro dell’Elfo

Teatro India, Roma dal 10 al 15 maggio

 

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