Riflessioni sulla storia dell’arte: intervista allo storico dell’arte Giorgio Di Genova

Riflessioni sulla storia dell’arte: intervista allo storico dell’arte Giorgio Di Genova

L'intervista allo storico d'arte Giorgio Di Genova

In un recentissimo volumetto ” Papa Francesco- la mia idea di arte ” curato da Tiziana Lupi ed edito da Mondadori, per la prima volta il pontefice esprime il suo pensiero sull’arte, sui musei e sulla società di oggi con la consueta, inconfondibile semplicità e con grande chiarezza di idee, affermando che l’arte, oltre ad essere un testimone credibile di bellezza del creato, sia anche uno strumento di evangelizzazione. “Attraverso l’arte, la musica, l’architettura, la scultura, la pittura, la Chiesa interpreta la rivelazionedichiara, riprendendo il pensiero di S. Giovanni Paolo II, che, citando Dostoevskij, parlava della bellezza come fonte di unione e di salvezza per l’umanità. Papa Francesco vede nelle nuove forme dell’arte un   veicolo di bellezza, di accoglienza, di pace e di amore, e un fondamentale strumento di dialogo tra le culture e le religioni.   L’arte contemporanea deve essere, secondo lui, una realtà viva, vitale, custode del passato, e orientata verso il futuro senza la paura di utilizzare nuove simbologie, nuovi linguaggi.

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Papa Francesco:”non più polverose raccolte del passato, per eletti o sapienti, ma un’arte rappresentata per tutti“. A colloquio con lo storico dell’arte Giorgio di Genova

Prendendo spunto dalle parole di papa Francesco, chiedo al professor Giorgio di Genova, noto Storico dell’Arte, una riflessione sull’importanza dell’arte nelle varie forme   nel tempo e della valenza della sua funzione sociale nel nostro momento storico.

L’arte appartiene alle esigenze espressive e/o comunicative dell’uomo, dacché l’umanità è uscita dalla fase prettamente istintuale, quella in cui dominanti erano appunto gli istinti propri allo strato rettiliano del cervello, e s’è avviata la lunga evoluzione del limbico, a cui appartiene anche la creatività nutrita dall’intelligenza. A differenza degli animali, che creano i loro habitat (e mi riferisco alle formiche, alle api, alle vespe, agli uccelli, ecc.) senza mai progredire, l’uomo ha progressivamente in relazione con l’intelligenza sviluppato la propria creatività in funzione delle proprie esigenze pratiche, passando dalla pietra scheggiata alla pietra levigata, poi alla fusione del bronzo, nonché dalle palafitte alle capanne, alle costruzioni murarie e così via. Contestualmente è passato dalla fase animistica, magica, alla fase razionale e scientifica, che naturalmente hanno nutrito e condizionato l’arte, come attestano nelle grotte i preistorici dipinti di animali che avevano, oltre alla funzione di impossessamento cognitivo, quella magico-rituale, propiziatoria della caccia. Funzionalità e ritualità sono alla base delle espressioni artistiche, a cui erano soprattutto dedite le donne, come molti miti direttamente o indirettamente ricordano. Alle donne si devono non solo i primi vasi di argilla per conservare le derrate, esemplati sul “recipiente primitivo”, cioè il ventre materno, bensì gli inizi della pittura. Sono esse che realizzano i colori impastando diverse terre con il latte e l’orina. Quest’ultima pratica giunge addirittura fino al XV secolo, come riferisce Ettore Camesasca nel primo capitolo del suo Artisti in bottega, in cui cita un ricettario che specificava, a proposito dell’orina femminile, lo stato e l’età (virginale o mestruale). Che l’attività di dipingere fosse riservata alle donne si può ricavare dal mito delle stoviglie dipinte, riportato da Lévi-Strauss nel suo Il crudo e il cotto. Poiché il discorso sarebbe molto più vasto, bastino questi pochi cenni per ricordare le radici socio-antropologiche dell’arte per quanto riguarda i diversi aspetti dell’esistenza umana, compresa quella delle credenze, a cui va ricondotta la proliferazione dei totem e della Mater matuta (per certi versi precorritrice del topos della Madonna col Bambino), e non solo.

L’arte è sempre e comunque un linguaggio che rispecchia le concezioni del tempo in cui è prodotta?

Così è per l’arte contemporanea, che ha superato e travalicato le norme del passato, quando un periodo o un secolo erano connotati da una koinè. Dall’800 s’è avviata una frantumazione del linguaggio, che nel ‘900 ha raggiunto una proliferazione tale che nessuna tendenza linguistica ha potuto essere connotativa di esso, a differenza dei secoli precedenti nei quali dominante era una koinè diffusa, che la committenza richiedeva e l’artista doveva seguire (il Gotico nel Trecento, il Rinascimento nel Quattrocento, il Manierismo nel Cinquecento, il Barocco nel Seicento, il Rococò e il Neoclassicismo nel Settecento), almeno fino a quando l’artista è stato organico alla società in cui operava. Infatti, allorché tale organicità s’è perduta, l’artista è divenuto il committente di se stesso, conquistando una grande libertà di espressione. Da ciò è scaturita la frantumazione del linguaggio, che è giunto a deformazioni, libertà stilistiche inconcepibili in precedenza, all’eliminazione delle immagini, all’astrazione geometrica o informale. Per tale motivo non è più possibile utilizzare concetti estetici del passato e continuare a identificare l’arte con il concetto ormai obsoleto del Bello, perché l’arte contemporanea comprende anche espressioni che non hanno nulla a che fare con i canoni dell’armonia classica, anzi spesso li contraddicono, com’è, tanto per fare qualche esempio, per i pittori dell’Espressionismo, molte opere di Picasso, taluni cicli di Dubuffet, i dipinti di Francis Bacon ed in generale tutte le opere informali. Ogni artista testimonia con la sua opera il suo essere ed il suo essere nel mondo. Per questo, e non solo per questo, è importante la produzione artistica. Ogni artista ci aiuta a comprendere qualcosa di più dell’umanità (e quindi di noi stessi) e, per chi sa leggerla correttamente, della società di oggi e del passato.

Papa Francesco nel parlare di arte pone in evidenza un costume, in auge da tempo, nella nostra società: “la cultura dello scarto.”” La persona umana non è più un valore da rispettare,e gli scartati piangono…”Sostiene Francesco, “Questo è il compito dell’artista: contrastare la cultura dello scarto ed evangelizzare” e prende a modello l’artista argentino contemporaneo Alejandro Marmo che lavora con materiali di scarto e persone emarginate. ” Gli abbracci che guariscono ” è un progetto che questo artista ha realizzato in Giappone mettendo insieme anziani e orfani, in cui ogni anziano aveva accanto a sé un bambino orfano.

La tenerezza che guarisce la solitudine:una nuova forma di bellezza attraverso l’arte, un nuovo linguaggio artistico che ha una grande rilevanza sociale.

Prof. Di Genova: vogliamo parlare dell’arte come rappresentazione più elevata dell’amore in contrapposizione con la nostra cultura definita da Francesco “dello scarto”, dominata dalla globalizzazione dell’economia che elimina chi è un peso per la società?

L’arte non scarta, bensì accoglie. E dal XX secolo ha cominciato a farlo a tutto campo, tanto che, per quanto attiene ai materiali, essa è diventata onnivora. Dopo il Manifesto tecnico della scultura futurista, stilato nel 1912 da Boccioni, il quale sosteneva che si può fare un’opera plastica anche con 20 materiali diversi, tra cui carta, crine, cemento, ferro, lampadina, eccetera, proprio gli scarti, anche industriali (vedi Ettore Colla), sono serviti ad artisti per fare capolavori. In questa nuova dimensione l’arte ha recuperato appieno il primevo significato etimologico del termine latino ars, artis, che come riporta il grande linguista Giovanni Semerano, significa “abilità, eccellenza in qualche attività, talento: successivamente ha preso il significato di τέχνη”, precisando che la voce latina viene accostata ad una radice accadica che è propria ad arᾱṧu (compongo, metto insieme), da cui derivano l’ebraico termine per “artigiano” e l’aramaico per “abilità magica, ‘Magie’), che ci trasmette aspetti remoti propri all’arte, così come il termine greco è alla base di “tecnica”. Il mettere insieme (in arte contemporanea assemblage), anche elementi di scarto, dal XX secolo è un diffuso leit-motiv artistico. Ovviamente ciò si contrappone alla società dei consumi, che sta trasformando il pianeta in una sterminata pattumiera, ma indirettamente, per cui non può incidere significativamente sulla situazione, mentre per quanto attiene alle valenze positive dell’arte io sottolineerei l’importanza del superamento dell’emarginazione dei diversi che ancora avvilisce la società del nostro tempo. Con poche eccezioni (e mi riferisco ai fanatici assassini dell’Isis), in arte sono sullo stesso piano accomunati, sia nei rapporti che nelle esposizioni, bianchi, neri, gialli, olivastri, cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, induisti, taoisti, non credenti, abbienti, poveri, i fisicamente sani e menomati, eterosessuali e omosessuali, senza differenza tra uomini e donne. Tramite i linguaggi dell’arte gli artisti ed i fruitori dell’arte europei, africani, asiatici, nordamericani, sudamericani, australiani comunicano e si parlano.

Papa Francesco, riferendosi “alla cultura dello scarto” parla di famosissimi “scarti”:” il Torso del Belvedere”,entrato nelle collezioni pontificie nel sedicesimo secolo, che colpisce per la sua fisicità potente di guerriero e la staticità meditabonda del morente: uno scarto marmoreo divenuto fonte di ispirazione inesauribile. “L’arte non scarta, ma trasforma o riutilizza ” afferma ricordando che le influenze del mondo pagano su quello cristiano non costituiscono una novità per gli storici dell’arte e non mancano gli esempi di affreschi sculture e tempi pagani riadattati e consacrati. Una caratteristica dell’arte paleocristiana. Un esempio straordinario di scarto sono le “opere della misericordia” dove gli scartati dalla società compaiono in primo piano, lo stesso delle figure dell’aristocrazia dell’iconografia tradizionale.

Quale è, Professore, a questo proposito il suo pensiero sull’eterno mistero del sacro a contatto con il profano, in arte?

Da laico comprendo che papa Francesco evidenzi i rapporti dell’arte con la religione, che nei secoli passati erano molto più serrati di oggi. Tuttavia non mancano anche nel nostro tempo artisti di autentica religiosità, che sanno o hanno saputo dare un loro contributo innovativo all’arte religiosa. Io ho avuto la fortuna di frequentarne uno, Padre Ugolino da Belluno, con cui ho avuto un lungo sodalizio e varie discussioni, a tal punto proficue che egli ha voluto che fossi io a scrivere la monografia che da anni aveva in mente di realizzare a documentazione dei suoi numerosi affreschi graffiti in diverse chiese e santuari, compreso quello di San Gabriele. E proprio dopo un’accesa discussione in relazione all’inserimento nel 1990 dei ritratti di Giovanni Paolo II e di Gorbachev nel suo affresco realizzato nella Chiesa del Sacro Cuore Eucaristico di Gesù di Terni, inserimento che io avevo contestato, invitandolo a evitare queste “cadute”, che ritenevo non avessero nulla a che fare con la sacralità delle sue opere, egli fu stimolato a realizzare l’immagine-luce di Cristo risorto, soluzione, a mio parere, “ vera e propria pietra miliare di una nuova e appropriata concezione di come riscattare modernamente l’arte del decorare i luoghi di culto”, come scrivevo nella citata monografia. In essa, dopo aver analizzato, non trascurando di riportare tutte le difficoltà che il pittore cappuccino aveva avuto per far accettare le proprie opere, rifiutate spesso dai parroci committenti, con l’accusa di “modernismo”, concludevo la mia analisi, definendolo: “Un grande artista di cui si sentiva la mancanza da oltre un secolo”.

Papa Francesco conclude la sua idea su arte, musei e società con un pensiero rivolto alla cappella Sistina che secondo lui rappresenta la sintesi della Misericordia che non scarta nessun uomo. Una riflessione conclusiva sulla Spiritualità e l’Arte entrambe in antitesi alla cultura dello scarto. Quale è il futuro dell’arte contemporanea?

Si sarà notato che per Padre Ugolino ho parlato di arte religiosa. Infatti, come ho cercato di dimostrare nelle diverse rassegne di arte cosiddetta sacra da me curate, quali le Triennali di Celano, le sezioni delle Biennali organizzate dai Passionisti sia a Pescara e a San Gabriele, nonché nei miei interventi in convegni sull’arte sacra, per non dire del testo per il volumetto Gli spazi dell’anima, documentante il lavoro di Angelo Casciello nella realizzazione della Nuova Cappella S. Maria di Realvalle in S. Pietro di Scafati (SA), ho sempre distinto arte sacra, arte religiosa e arte liturgica. Pertanto nel 1989 in occasione della Triennale internazionale d’arte sacra di Celano, dopo aver ribadito la mia convinzione che il “sacro è inscindibilmente intrecciato col simbolico” e che “il simbolo, come il sacro, è dentro di noi” e che, “per quanto attiene all’arte, l’espressione più pura del sacro risieda nel linguaggio aniconico e che, di converso, in quello iconico il sacro tenda a ridurre la carica del suo essere”, precisavo: “In realtà, passando dall’aniconico all’iconico l’arte sacra da simbolica si fa allegorica, da segno diventa segnale connotato, da linguaggio autonomo scade in commento. Il corpus così lascia il campo al vestimentum ed il sacro viene in gran parte obnubilato. L’aura sacra, insomma, si tramuta in aura religiosa, soggetta alle esigenze della ‘rivelazione’ ed in qualche caso a quelle della liturgia, ed il discorso artistico si riduce a procedere ai bordi del sacro”. E sono tuttora convinto che la Spiritualità insita nel sacro diminuisca la sua carica energetica dall’uomo avvertita come qualcosa di esterno e di lui più potente e numinoso, allorché viene esternalizzata rispetto al mistero proprio al simbolo, cui il sacro è inscindibilmente connesso. Da laico ho un rapporto con l’arte più culturale che spirituale. Per me l’arte è conoscenza ed esigenza individuale di esprimere l’essenza della natura umana, che si affida alla immaginazione e che attraverso essa tende a “correggere” la realtà esterna ed interiore, liberando nel contempo certe pulsioni, cioè ciò che ad ogni artista “ditta dentro” e che i classici individuavano nelle Muse ed i romantici definivano vocazione. Il fare pittura o scultura è estrinsecazione di quelle pulsioni connaturate all’uomo, le quali premono dentro di lui, come la musica, il canto, la danza, la poesia, la narrazione e l’edificare. L’artista crea ex nihilo e per questo è assimilato ad una specie di terreno creatore, il quale sconfigge la morte fisica per mezzo delle opere che realizza: sono forse morti Wiligelmo, Duccio da Boninsegna, Giotto, Donatello, Piero della Francesca, Bramante, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Tiziano, Dante, Ariosto, Cervantes, Mozart, Beethoven, Chopin, o Monet, Van Gogh, Picasso, Duchamp, Boccioni, Arturo Martini, Klee, Leopardi, Manzoni, Baudelaire, Mallarmé, Proust, Rossini, Verdi, Puccini, Stravinsky, Nervi? E potrei continuare a lungo. Ciascuno di essi continua a vivere nelle loro opere. L’arte in definitiva non arricchisce e trasforma soltanto la storia dell’uomo, ma tout court la realtà. Per convincersene basterebbe immaginarsi cosa sarebbe il mondo senza le varie espressioni d’arte (che sarebbe la vita umana senza la musica?). Ogni espressione artistica alberga nell’io profondo, ma solo acquisendo struttura di specifico linguistico si “rivela”. Ed, essendo l’uomo sociale, diviene comunicazione interpersonale e quindi cultura, migliorando non poco il mondo.

Sabina Caligiani

COMMENTI

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