Porcile di Pier Paolo Pasolini con la regia di Valerio Binasco

Porcile di Pier Paolo Pasolini con la regia di Valerio Binasco

Jiulian giovane borghese tormentato, senza ideali, è attratto magneticamente dagli animali ed in particolare dai maiali, decide di immolarsi in nome del fallimento generazionale in conflitto con i suoi genitori, che non fanno a tempo a riscrivere nuove regole affettive che permettano al ragazzo un sereno affaccio alla vita.

C’è un gusto critico che intelligentemente va affermandosi da parte di una certa regia dotata e acuta e cioè quello di distaccarsi dalle traversie insite in alcuni testi politicamente ideologici e di trattare quel materiale drammaturgico opportunamente scelto scrostandolo di quella patina invecchiata originale e ri-vivificarlo, per affrontare e analizzare drasticamente, solo le direttive interpretative. Così come accadeva a Elio De capitani per Morte di un commesso viaggiatore, in cui l’interprete/regista affrontava oggettivamente il dramma di Arthur Miller per andare a scandagliare nei rapporti che legavano i vari personaggi di quella storia tralasciando completamente l’aspetto sociologico a essa legato, e ciò non rappresentava un limite, al contrario. Valerio Binasco ancora più coraggioso affronta con questa stessa identica prospettiva uno dei testi più complessi e enigmatici del poeta di Casarsa: Porcile, che pur tuttavia negli ultimi anni, dopo il film del 1969 diretto dallo stesso Pasolini è stato più volte messo in scena. A cominciare da quella prima timida e riflessiva messinscena di Roberto Guicciardini nel 1989 in cui il regista toscano elevava ed esaltava il linguaggio poetico del testo in uno spazio neutro per dargli un valore assoluto, passando per Federico Tiezzi e Antonio Latella per giungere a Massimo Castri, e si arriva a questa nuova versione in scena al Teatro Vascello di Roma.

Porcile_Francesco-Borchi_Foto-Luca-Del-Pia

Strutturata originariamente in undici stasimi l’opera teatrale nasce prima del film nel 1966, ambientata a Godesberg negli anni sessanta in una Germania post-nazista, dove vivono i Klotz, il cui capofamiglia è un ricco imprenditore. Julian, il figlio, è un ragazzo introverso e nonostante sia corteggiato dalla bella e intraprendente Ida preferisce starsene da solo o al massimo intrattenersi con gli animali della fattoria in fondo al vialone della grande casa padronale dove risiedono ed in particolare adora stare in compagnia dei maiali. Lui ama di un amore che non osa pronunciare il suo nome per dirla con Oscar Wilde. Non ha opinioni e non ha mai baciato una ragazza e quella ossessione per i maiali lo porterà a quella che oggi si direbbe una brutta depressione. Nel frattempo suo padre ha scoperto i traffici loschi con gli ebrei sterminati da Hitler di un suo amico di gioventù, diventato anch’esso un grosso industriale, ma anche quest’ultimo ha un segreto da rivelare, nonostante ciò, decidono di unire le loro forze economiche. E proprio il giorno in cui si festeggia la fusione della nuova società giunge la notizia che Julian è stato fagocitato da un branco di maiali. Perché Julian era così infelice?

E perché ebrei e maiali sono accostati così facilmente? Perché i genitori sono anch’essi un po’ maiali? Un conflitto generazionale, il cui ruolo fra i genitori si confonde, si mescola e chi ne fa le spese se non i figli che disorientati non avendo più punti di riferimento decidono di sopprimere quel genitore oppresso? Forse in quell’atto di possesso con i piccoli maiali, rapiti già a sedici anni, vorrebbe cancellare un rapporto genitoriale fallito ed inesistente? Valerio Binasco nello scegliere di mettere in scena questo dramma imprime, diversamente a quanto ci ha abituati a vedere nei suoi spettacoli, una forma di ritmo tragico a tutta l’azione, tutto è rallentato, dolorosamente sofferto, come un presagio al tragico finale. Tutti i personaggi sono contagiati da quel malessere che corrode e pervade l’animo del povero ragazzo. Il regista trova un giusto e appropriato equilibrio fra la poesia di Pasolini, operando tagli e frapposizioni, e il suo codice espressivo. Lo spettacolo intero regge e vale tutta la sofferenza e la passione nella bella interpretazione di Francesco Borchi che con i suoi pantaloni rosa fa venire in mente il quindicenne romano che si tolse la vita, discriminato, poiché adorava il colore rosa.

PORCILE di Pier Paolo Pasolini

con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni, Pietro d’Elia

scene Lorenzo Banci
costumi Sandra Cardini

musiche Arturo Annecchino

regia Valerio Binasco

produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2Mondi

Teatro Vascello sala Giancarlo Nanni , Roma fino al 28 febbraio

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