Non ho peccato abbastanza è quindi un’opera preziosa e bellissima, un concerto di tante voci significative, sia per la bellezza della loro poesia, sia perché sappiamo tutti quanto vale comporre quelle opere in quel contesto.
In principio ci fu la lettura – dolorosa e devastante – di un articolo: La rivoluzione in versi delle afghane, di Eliza Griswold, famosa e pluripremiata giornalista. All’interno del pezzo, una storia: quella di Zarmina. Giovane ragazza afghana, costretta a chiamare telefonicamente di nascosto l’associazione letteraria Mirman Bahir. Al telefono detta i suoi versi, affinché possano essere declamati. Per quel contesto scrivere poesie d’amore equivale ad avere una relazione illecita e una condotta immorale, degna d’essere punita nella maniera più feroce. Infatti, quando Zarmina viene scoperta dalla famiglia, decide di suicidarsi dandosi fuoco. Dopo la lettura, mi sono chiesto: “Ci si può uccidere perché scoperti a dettare i propri versi? In che condizione vivono queste ragazze per prendere una decisione del genere?”. Per avere una risposta, l’unica cosa da fare era leggere quella Poesia.
La curatrice di Non ho peccato abbastanza, Valentina Colombo, nell’introduzione mette subito in chiaro le cose, citando un proverbio arabo: «Rompi una costola a una ragazza, e ne ricresceranno dieci». Un detto del genere affonda subito il lettore nel contesto sociale e politico delle autrici. Un mondo e uno scenario tante volte – ma mai abbastanza – chiamato in causa drammaticamente dalla cronaca, dai tg, dai social network, dagli scrittori del resto del mondo. A piccoli passi, l’emancipazione e la rivolta femminile nei paesi arabi acquista sempre più grandezza e rilevanza. Tra proteste e polemiche, ribellioni e rivolte, ma anche – e soprattutto – la poesia. L’arte per eccellenza della lingua araba, scardinata e utilizzata dalla protagoniste di Non Ho Peccato Abbastanza in maniera rivoluzionaria e appassionata. La loro presa di posizione cammina di pari passo con i loro versi.
La poesia araba nasce in epoca preislamica, fin da subito connotata da una metrica e un ritmo inscalfibile ed inalterabile. Guai a toccarla. Bisogna infatti aspettare il 1949. Attendere che una poetessa figlia di una poetessa faccia deflagrare la bomba più devastante. Un ordigno battezzato da Nazik al-Mala’ika Schegge e cenere. L’irachena propone l’abbandono della monorima, dei numeri fissi alla base delle strofe e del ritmo. Potete immaginare il veleno della critica purista e tradizionale, e i suoi attacchi. Attacchi così potenti, che Nazik al-Mala’ika dovrà lasciare l’Iraq per il Libano. Ma la via è aperta, e l’invito ai futuri autori di vivere in maniera più libera e personale l’uso di tale mezzo artistico è partito. “Orazione funebre per una donna insignificante (Scene di un vicolo a Baghdad)” è ormai una pietra miliare della nuova poesia araba e un oggetto di culto per tutte le scrittrici venute dopo. Una poesia straziante, che tocca momenti lirici altissimi:
«Anch’io mi chiedo chi sono
Sono la confusione che fissa le tenebre
Nulla mi dà pace».
Quali sono state quindi le poetesse ad accogliere la lezione della al-Mala’ika? A scardinare l’immagine della donna repressa, abusata e discriminata, ci ha pensato Fawzyya Abu Khalid. Dalle viscere più bigotte e chiuse dell’Arabia Saudita, le sue opere abbattono tale concezione. Un linguaggio genuino ed erotico popola le composizioni, e spesso si ironizza sulla figura maschile. Potete immaginare anche in questo caso, le reazioni e le accuse. Per non parlare di Hamda Khamis, che con un suo “Estasi d’amore” ha portato il discorso dell’emancipazione a vette siderali:
«Ogni corpo
è un essere vivente.
Ogni poesia
è femmina!»
La donna non è quindi una figura umana e sociale al pari dell’uomo, ma è anche la miglior veicolatrice della poesia! Altrettanto potente è la libanese Joumana Haddad. Una poesia fatta di opposti, di contrasti, tra riscatto e tradizione, patria e ribellione. Proposta come prima autrice di Non ho peccato abbastanza, il suo “Il ritorno di Lilth” è il modo migliore per iniziare. Altrettanto magnifici sono i componimenti della siriana Maram al-Masri. Trasferitasi in Francia, è tutt’oggi una delle voci più autorevoli e considerate della poesia araba contemporanea. Con lei si legge di una donna dominatrice, che prende iniziativa e non ha la minima paura a confrontarsi con un uomo, sia socialmente che sessualmente. “Ciliegia rossa su piastrelle bianche” parla chiaro:
«Questa sera
La preda e il predatore si incontreranno
E si compenetreranno
E forse…
Forse
Si scambieranno i ruoli».
A seguirla nella raccolta, A’isha Arna’ut. Forse la poetessa più violenta e d’impatto. Versi come staffilate, immagini come schiaffi.
«Silenziosamente
Ha vissuto.
Silenziosamente
È morta.
Vulva inutile
Dissero dopo aver saputo.
Mi preoccupa
Che l’acqua sia priva di colore
L’aria priva di sapore
L’imene
Privo di lacrime.
Non siamo altro che una
Delle probabilità dell’esistenza».
Non ho peccato abbastanza è quindi un’opera preziosa e bellissima, un concerto di tante voci significative, sia per la bellezza della loro poesia, sia perché sappiamo tutti quanto vale comporre quelle opere in quel contesto. Un antologia moderna, attuale, obbligatoria da consultare e vivere. Necessaria, se si vuole avere lo mente attenta su tali vicende drammatiche contemporanee, e gli occhi liberi e lucidi sulle protagoniste di questa piccola grande rivoluzione. E basta pensarci un attimo, per capire come Non ho peccato abbastanza parli in maniera drammatica e sconcertante anche alla nostra cronaca italiani degli ultimi giorni.
Alessio Belli
COMMENTI