Aborto in caso di morte cerebrale. Il tribunale di Dublino dice si, ma manca una legislazione generale che regoli i casi affini.
Il caso di morte cerebrale e gravidanza – In Irlanda si discute da giorni di un caso medico che implica sia l’aborto che l’eutanasia. Il 26 dicembre, l’Alto Tribunale di giustizia di Dublino ha consentito l’interruzione dei trattamenti che tengono in vita una donna cerebralmente morta. Vittima di una caduta, avvenuta giorno 9 dicembre, la donna irlandese era incinta di 18 settimane. La complicata questione è stata risolta dalla sentenza considerata storica in Irlanda, Paese in cui l’aborto non è consentito. La richiesta dei familiari è stata accolta dai giudici, che hanno inoltre espresso la necessità di rendere più chiara la legislazione relativa ai casi affini.
La legge – I medici della donna avevano deciso di continuare i trattamenti per paura di trasgredire la legge ed essere accusati di negligenza e omicidio. La Costituzione irlandese non considera i casi di morte cerebrale e gravidanza. Il ministro della Salute, Leo Varadkar, si è detto favorevole all’introduzione di alcuni eccezionali casi-limite in cui il divieto di abortire può essere aggirato e ha dichiarato che il governo se ne occuperà. L’ottavo emendamento della Costituzione, in vigore dal 1983 “riconosce il diritto alla vita di un non ancora nato e, nel rispetto della parità di diritto alla vita della madre, gli garantisce, a ogni effetto di legge, la difesa e il rispetto di quel diritto”. Ad oggi, l’aborto è consentito solo nelle situazioni in cui portare avanti la gravidanza costituisce un rischio concreto per la vita della madre.
Il parere dei medici – Brian Marsh, uno specialista che si è occupato del caso, in tribunale ha dichiarato: “Non credo che questo bambino non ancora nato possa sopravvivere“; a causa di infezioni, febbre e pressione sanguigna elevata, il corpo della donna diventa, ora dopo ora, ambiente letale per il feto. Dello stesso parere gli altri sei specialisti consultati per il caso della donna, neanche trentenne, sposata e già madre di due figli. Il giudice Nicholas Kearns ha affermato: “Si dovrebbe autorizzare a discrezione del personale medico l’interruzione del sostegno medico artificiale fornito in questo tragico e sfortunato caso. Mantenere e proseguire l’assistenza alla madre priverebbe lei di dignità e sottoporrebbe suo padre, suo marito e i suoi figli a una sofferenza inimmaginabile per assecondare un esercizio inutile cominciato dai medici soltanto per paura di possibili conseguenze“.
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