Kaddish è l'inno funebre a Naomi, madre di Allen Ginsberg, morta nel 1956 in manicomio. La sua malattia e la sua morte cambiarono la vita del poeta.
Kaddish, inno a Naomi Ginsberg– Kaddish è l’inno a Naomi Ginsberg: l’abbiamo vista in questi giorni nelle sale cinematografiche interpretata da Jennifer Leigh in Giovani Ribelli (Kill your darlings), il film che ritrae la particella primordiale di quella che sarà la beat generation. Per la madre Allen Ginsberg scrive infatti nel 1961 Kaddish, lamento funebre e ulteriore grido dopo Urlo, il poema simbolo di una generazione. Nel 1956 muore la madre, Naomi Ginsberg, in manicomio. Il Kaddish è il lamento funebre ebraico: cinque anni dopo il poeta dà voce al lutto nella biografia di Naomi, storia della sua malattia e ultimo inno alla donna che cambiò la sua vita. “E dai e dai- a ritornello- d’Ospedali- ancora non ho scritto la tua storia – lasciamola astratta – poche immagini scorse per la mente – (…) memorie d’elettroshock.”
La storia di Naomi Ginsberg– Naomi Ginsberg ha vissuto gran parte della sua vita in un ospedale psichiatrico, affetta da una malattia psicologica mai correttamente diagnosticata. Era convinta di avere fili nella testa e tre lunghi bastoni nella schiena e che tutti fossero spie di Hitler, anche i suoi figli, anche suo marito. È Allen all’età di 12 anni ad accompagnarla alla casa di cura: la malattia della madre e la sua morte gli cambieranno la vita per sempre, passata a combattere contro il senso di colpa straziante per averla portata in manicomio. Racconta: “tu camminavi 50 anni fa, ragazzina- venuta dalla Russia, mangiavi i primi pomodori velenosi d’America – (…) Verso istruzione matrimonio crollo di nervi, operazione, insegnamento a scuola, e imparare a essere matta, in sogno- cos’è questa, è vita?”
Ci sarebbe stato Urlo senza Naomi?– Allen Ginsberg avrebbe scritto Urlo senza Naomi? Probabilmente no. Kaddish è un passo oltre a Urlo (“ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia”) perché racconta un grande dramma personale, dramma di una malattia che sconvolge le vite di chi ha intorno. Allen racconta che sognava della sua anima, quella che per tutta la vita le era stata nel corpo, andata “al di là della gioia”. Le scrive una lunga lettera, un inno “alla mattezza- Opera del misericordioso Signore della Poesia” e descrive il sole, che è sopra agli ospedali come al suo cortile. Kaddish è l’ultimo tentativo di un incontro in cui Allen Ginsberg ancora una volta trova parole proprie per inventare la raffigurazione del dolore. Si conclude con la profezia di Naomi, in una lettera che Allen ricevette due giorni dopo la sua morte: “Lei scriveva – “La chiave è nella finestra, la chiave è nella luce del sole alla finestra – Io ho la chiave”.
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