Isole di plastica: studio determinerà i responsabili

Isole di plastica: studio determinerà i responsabili

Ecco come trovare i responsabili

Il problema – Le isole di plastica sono enormi accumuli di rifiuti di dimensioni variabili che galleggiano negli oceani sospinti piacevolmente dalle correnti e accarezzati dai venti marini. La prima di queste isole di plastica ad essere stata individuata è stata quella che, definita Great Pacific Garbage Patch, galleggia attualmente tra le Hawaii e la California. Era il 1988 quando venne scoperto questo immenso accumulo di spazzatura galleggiante. Da allora si è arrivati a stabilire che le isole di plastica nei nostri oceani dovrebbero essere circa cinque. Il problema rappresentato è declinabile su più fronti. Se pensiamo che i “pezzi” di cui sono costituite queste mostruosità galleggianti sono di dimensioni variabili, capiamo bene che i microframmenti vengono facilmente ingeriti dai pesci che poi ritroviamo sulle nostre tavole e di lì a poco, nelle nostre pance. Avveleniamo altre specie viventi e ci auto avveleniamo. Prodigi dell’homo sapiens sapiens.

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Lo studio – Queste isole di plastica galleggianti sono state oggetto sino ad ora di globale sdegno e indignazione. “È inammissibile che al giorno d’oggi ci siano quantità di spazzatura che vagano per gli oceani” ma oltre a questo non si è fatto altro. Tuttavia recentemente uno studio ha deciso di passare, o almeno tentare di passare, dalla semplice e sterile indignazione ad uno stadio di impegno concreto per la risoluzione del problema (impegno concreto anche quello del diciannovenne che ha inventato lo “spazzino dei mari”). Lo studio vede coinvolti Erik van Sebille, ricercatore e docente di Oceanografia alla University of New South Wales a Sydney, Gary Froyland professore di Matematica, e Robyn Stuart, loro collega. Il loro studio sulle isole di plastica è uscito sulla rivista Chaos e si propone di individuare i diretti responsabili della plastica oceanica.

La strategia di individuazione – Lo studio nasce utilizzando modelli matematici applicati alle isole di plastica e in grado di evidenziare il comportamento medio e a lungo termine dei sistemi dinamici. Gli studiosi sono stati in grado di identificare sette regioni oceaniche delimitate dalle correnti; sono regioni oceaniche che non corrispondono con le attuali “divisioni”. Sono zone designate da correnti-barriera che definiscono aree nelle quali le acque si mescolano poco. Ad esempio si sono ritrovate parti del Pacifico e dell’Oceano Indiano che sono strettamente collegate al sud dell’Atlantico. I confini degli oceani appaiono più geopolitici e analizzando i movimenti dei frammenti di plastica si potrebbe forse arrivare ad individuare direttamente i produttori responsabili dell’esistenza delle isole di plastica. Afferma Froyland “queste aree di convergenza non cambiano e la spazzatura continuerà ad accumularsi in queste zone”. Se si riuscisse ad individuare i responsabili potrebbe cambiare qualcosa. Potrebbe? Ciò che emerge per ora è che un’azione decisiva per rispondere al problema verrebbe attuata solo una volta trovato il responsabile. Sarebbe troppo poco umano agire, intanto, a livello globale, per diminuire la produzione di plastica e i rifiuti che finiscono negli oceani.

COMMENTI

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    […] di uso comune non più come un rifiuto ma come un prodotto cui donare nuova vita. I quantitativi di plastica in mare sono enormi, e non si tratta solo di plastica di grandi dimensione. Una minaccia notevole è […]

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    […] riciclo in un trend globale di continua produzione di rifiuti (pensiamo alle ingenti quantità di materiale plastico che vengono immesse nei mari). Riciclare diventa una strategia intelligente di sopravvivenza e un nuovo approccio culturale che […]