Una beffa ai danni di un militare spaccone è il pretesto per il poeta corsaro per riscrivere il Miles Gloriosus di Plauto con l'invenzione di un linguaggio poetico che si ispira al vernacolo romanesco.
Pier Paolo Pasolini, di cui si ricorda a quaranta anni di distanza, la barbara morte di cui è stato vittima, nel corso della sua breve presenza in vita si dedicò con la sua ardente passione anche al teatro, lasciandoci una manciata di drammi, che d’altra parte, alcuni sono di scena sui palcoscenici italiani durante questa stagione, appena visto un personale Porcile di Valerio Binasco, si aspetta il Calderon di Federico Tiezzi, mentre un’altra versione sempre di Calderon è in turnè con la regia del regista napoletano Francesco Saponaro, e a fine stagione invece si attende la ripresa di Pilade con la regia di Daniele Salvo nonché la nuova produzione P.P.P di Ricci/Forte. Di traduzioni invece ce ne ha regalate solo due purtroppo, la pregiatissima trilogia dell’Orestea commissionata nel 1960 per l’interpretazione di Vittorio Gassman presso il Teatro Greco di Siracusa e sempre per il mattatore italico (che mai lo interpretò) il Miles Gloriosus di Plauto, traslato poi ne il Vantone. Lo spettacolo, in scena al Teatro India di Roma, all’interno del progetto Il Teatro di Roma per Pasolini e che ha debuttato l’estate scorsa a Spoleto al Festival dei Due Mondi, ha per interprete il pupillo, attore preferito del poeta corsaro, protagonista di tante pellicole, amico e confidente Ninetto Davoli con la regia di Federico Vigorito. Pasolini può ritenersi finalmente a tutti gli effetti un autore di repertorio per le compagnie italiane, siano esse organismi produttivi privati o pubblici. Ed è una bella vittoria per il teatro.
La sua particolare drammaturgia non è da intendersi solo come un’architettura compositiva ben conseguita di un testo teatrale, in lui confluisce indubbiamente tutta la sua forte carica poetica e il suo empatico impegno politico, e non è poco. Ed anche in una storia come può essere quella ricavata dalla tradizione plautina riesce a trovare un interesse che va ben oltre una semplice trasposizione, una riscrittura vera e propria, rispettandone caratterialmente il canone narrativo: intreccio amoroso e divertimento. Pasolini traspone la vicenda le militare spaccone in un presente prossimo, una borgata, elaborandone un linguaggio stilizzato che più che al contemporaneo si ispira ad un colto vernacolo romanesco, una sceneggiata fa dire ad uno dei personaggi. Volevo fare il riassunto de questa commedia: si inscrive così una beffa ai danni di Pirgopolinice, il soldato spaccone del titolo, guidata dal furbo servo Palestrione per liberare la bella Filocomasio, preda del militare, e farla ricongiungere al suo amore appena ritrovato per poi ripartire tutti verso casa, lei, il servo e il fidanzato.
Federico Vigorito nell’affrontare la messinscena si pone con rispettoso stupore e come un viaggio a ritroso affronta il lavoro registico, a spasso nel tempo, rivivifica dello stesso gusto plautino la pièce, immaginando la classica piazza dove si svolge l’azione (scena di Antonia Petrocelli che ricorda la composizione figurativa di certi quadri del novecento italiano, con le case sovraffollate che terminano in prospettiva verso il fondo) come un punto di incontro ove i personaggi incappano prepotentemente dalle direttive dell’intreccio drammaturgico. Gli interpreti tutti in contrasto con l’attualizzazione di Pasolini indossano dei costumi di repertorio plautino. Ninetto Davoli è sorprendente nella sua disarmante verità di servo furbo e astuto mentre gli fa da controcanto come militare spaccone un Edoardo Siravo in notevole forma, fanfarone e gradasso il suo personaggio ha goffe movenze da museo delle cere. Gustosa l’interpretazione en-travesti di Gaetano Aronica mentre la coppia dei giovani/amanti sono i bravi Silvia Siravo e Gabriele Geri.
IL VANTONE di Pier Paolo Pasolini dal Miles Gloriosus di Plauto
con Ninetto Davoli, Edoardo Siravo, Gaetano Aronica, Paolo Gattini, Marco Paoli, Silvia Siravo, Enrica Costantini, Gabriele Geri
scenografia e costumi Antonia Petrocelli
regia Federico Vigorito
produzione Laros di Gino Caudai
Teatro India, Roma fino al 13 marzo
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