Ljuba, discendente di una famiglia di feudatari, al rientro in patria si ritrova spogliata di tutto, delle sue radici e dei suoi sogni. Il Giardino dei Ciliegi, raccontato da Anton Cechov è un allegorica metafora del rifiuto volontario a voler crescere e a volersi evolvere.
Nel mettere in scena Il Giardino dei Ciliegi di Anton Cechov (1904) il regista Luca De Fusco forte della recente collaborazione e del confronto col maestro Andrej Konchalovskij mette in parallelo l’egemonia culturale e borghese della Russia dei primi del novecento con quella napoletana al tramonto di se stessa. Viene fuori così un curioso e interessante accostamento fra Napoli e Mosca. Due distinte identità apparentemente separate che però hanno in comune il rifiuto a reagire al cambio dei tempi e che son rimaste ancorate ad ancestrali tradizioni sottocutanee, al rifiuto consapevole di una società che volge verso l’industrializzazione. La povera Ljuba, ricca borgese, discendente di vecchi feudatari, vittima delle sue miserie e dei suoi splendori, al rientro in patria sarà costretta a cedere la sua tenuta familiare, e con essa il simbolico e magico giardino dei ciliegi, luogo affettivo carico di ricordi, in cui son racchiuse le migliori tradizioni centenarie, al proprietario terriero e commerciante Lopachin. Una sconfitta simbolica per quelli come Ljuba, quel luogo infatti rappresenta il ricordo dell’infanzia e una via di fuga dalla realtà. Costretti a cedere tutto in cambio di degna sopravvivenza. Ed ecco che allora entra in gioco un altro intellettuale napoletano, Raffaele La Capria, ad avvalorare il confronto – cantore di armonie perdute e di feriti a morte – lui che ha saputo ben indagare sul crepuscolo della borghesia partenopea.
Mosca come Napoli o anche eco di tutte quelle micro/società legate a un egemonia che non ha più ragione di esistere. E la bella traduzione di Gianni Garrera aiuta non poco l’originale e riuscitissima messinscena di Luca De Fusco de Il Giardino dei Ciliegi, che giunge a Roma – finalmente – presso il Teatro Quirino, dopo il debutto nazionale al Napoli Teatro Festival del 2014 e dopo la recente trasferta al Teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo nel settembre di quest’anno, dove è stato accolto con sorprendente successo. Un enorme candido e morbido contenitore è la bella scena di Maurizio Balò che allude simbolicamente ad una masseria assolata e annoiata, ma l’abbattimento per l’ambizioso progetto del neoproprietario Lopachin di farne meta di villeggianti è già avvenuto. Il luogo simbolico dei sogni voluto da Cechov è già frantumato a pezzi e quel che rimane in piedi è segnato da crepe e cedimenti strutturali, ‘dove tutto è come in un sogno’. Gli stessi proprietari, giunti da Parigi, all’aprirsi del sipario son disposti su un enorme scala unico elemento di accesso (o fuga) da quel che risulta essere un luogo dell’inconscio, son delle apparizioni, degli ectoplasmi, forse una citazione di Fantasmi a Roma (1961) il film di Antonio Pietrangeli su sceneggiatura di Ennio Flaiano, anche lì c’è una casa da sottrarre a una speculazione e a un apparente rinnovamento.
‘Invece di andare a teatro guardate dentro di voi’, ecco, questo allestimento porta a riflessioni davvero rilevanti ed il teatro diventa veicolo introspettivo per ricercare dentro di sé le proprie origini, le proprie radici, e indirizzare il proprio cammino verso una direzione semmai poco redditizia ma sicuramente vera e sentita. Un cast di ottimo livello capitanati dai due interpreti principali: Claudio Di Palma come un Lopachin tormentato e sanguigno e da Gaia Aprea come Ljuba, padrona di casa e della scena che nonostante possa risultare troppo giovane per il ruolo sopperisce con un esperienza ed una maturità degna di una primattrice. E nel commovente finale per ricercare un ulteriore e simbolico allontanamento da quelle trazioni radicate, gli attori costruiscono una barriera fra loro stessi e il pubblico, realizzando materialmente una quarta parete dove attraverso una piccola fenditura/ferita riusciamo a carpire le ultime comande prima della definitiva partenza e brechtianamente le azioni son proiettate, con primi piani o piani sequenza, in bianco e nero su quell’enorme sipario che divide i sogni dalla realtà.
IL GIARDINO DEI CILIEGI di Anton Čechov
traduzione Gianni Garrera
con Gaia Aprea, Paolo Cresta, Claudio Di Palma, Serena Marziale, Alessandra Pacifico Griffini, Giacinto Palmarini, Alfonso Postiglione, Federica Sandrini, Gabriele Saurio, Sabrina Scuccimarra, Paolo Serra, Enzo Turrin
scene Maurizio Balò
costumi Maurizio Millenotti
luci Gigi Saccomandi
coreografie Noa Wertheim
musiche originali Ran Bagno
adattamento e regia Luca De Fusco
produzione Teatro Stabile di Napoli e Teatro Stabile di Verona
Teatro Quirino, Roma fino al 15 novembre
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