I nuovi schiavi moderni

I nuovi schiavi moderni

Giovani in cerca di esperienza, ecco i nuovi schiavi del 2013.
 Un esercito di neo laureati, carichi di speranze di inserimento nel mondo del lavoro, che arranca in una pozza stagnante con poche prospettive di bonifica all'orizzonte.

Giovani in cerca di esperienza, ecco i nuovi schiavi del 2013.
 Un esercito di neo laureati, carichi di speranze di inserimento nel mondo del lavoro, che arranca in una pozza stagnante con poche prospettive di bonifica all’orizzonte. 
Si lavora, si lavora tanto, si lavora troppo, e il compenso è spesso inesistente o irrisorio, a volte sembra quasi che si debba ringraziare di essere ‘schiavi’.

Foto Roberto Monaldo - LaPresse

Foto Roberto Monaldo – LaPresse


I nuovi schiavi moderni – La parola ‘schiavo’ sembra forse un po’ eccessiva, ma racchiude in sé la condizione odierna della media gioventù italiana, che sta perdendo pian piano la libertà di scelta.
 Ci si accontenta, si sopravvive, pur di lavorare. È vero: il numero dei laureati negli ultimi dieci anni è diminuito notevolmente, il momento economico non è di certo dei migliori, si scartano a priori lavori ritenuti umili e ormai declinati verso l’ondata straniera, ma tutto ciò non può giustificare ciò che può essere definito inciviltà. 
Se si offre un servizio, lo stesso dovrebbe essere retribuito in giusta proporzione.
 Sin dai tempi antichi l’uomo ha raccolto i frutti del suo duro lavoro, che riuscivano a ripagarlo delle grandi fatiche fatte, stimolandolo nell’affrontare il nuovo anno. 
Purtroppo la nostra realtà grava come un macigno sulla libertà dei giovani costretti, ormai sempre più spesso, a pregare per poter lavorare “gratis”.
 Tutto ciò crea un ritardo nell’evolversi naturale della vita ed un ingrigirsi delle prospettive.


Lotta per la sopravvivenza – Gli studi si prolungano con master e stage, si sgomita per cercare di ottenere un lavoro che permetta la sopravvivenza, volendo sottolineare il termine ‘sopravvivenza’ come minimo indispensabile per riuscire ad essere indipendenti. Se si sopravvive dunque, è duro andare oltre all’individualismo e pensare ad una famiglia. 
Come si può pensare di creare un nuovo nucleo familiare se si riesce a mantenere a stento se stessi?
 Si finisce dunque per impantanarsi, con la paura di lasciare un lavoro, che magari non si apprezza, solo perché permette di arrivare a fine mese pagando affitto tasse e il minimo necessario quotidianamente, per qualcosa di incerto o con alta probabilità inesistente o ancor peggio retribuito, stipando in fondo al cassetto i sogni che sono il motore della vita. 
Duro il futuro che ci aspetta, e che aspetta le generazioni future, che non potranno più nemmeno avere alle spalle un sostegno solido, fatto “dei risparmi di una vita”, perché qui oggi, c’è poco da risparmiare.

Adalgisa Nicolazzi

Photo credit: Roberto Monaldo – LaPresse

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