Eluana Englaro, a sei anni dalla morte nessuna legge sull’eutanasia

Eluana Englaro, a sei anni dalla morte nessuna legge sull’eutanasia

Eluana Englaro moriva il 9 febbraio 2009 per sospensione del trattamento artificiale. Ad oggi, non c'è ancora una legge sull'eutanasia.

Eluana EnglaroEluana Englaro moriva il 9 febbraio 2009 nella clinica La Quiete di Udine. La sua morte ha suscitato un acceso dibattito sulla validità etica dell’alimentazione forzata al paziente in coma vegetativo permanente. Eluana Englaro, all’età di 21 anni, ebbe un incidente stradale che le provocò la frattura della spina dorsale e danni gravissimi alla corteccia cerebrale. Entrata sin da subito in coma, i medici si adoperarono per salvarle la vita anteponendo come priorità assoluta la funzione biologica della ragazza. Ben presto, però, dovettero dare il triste annuncio alla famiglia: Eluana Englaro era fuori pericolo, ma non si sarebbe risvegliata più. La vittoria contro la morte mista alla disperazione per una ‘non vita’ attanagliò i presenti che, da quel momento un poi, iniziarono un travaglio tra inchieste e processi lungo 17 anni.

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La volontà dei genitoriI genitori di Eluana Englaro manifestarono sin da subito la volontà di cessare l’alimentazione artificiale della figlia che, senza controllo sul proprio corpo e facoltà cerebrali funzionanti, era immobilizzata in un letto d’ospedale senza possibilità di redimersi. Da qui è iniziata una controversia sulla regolarità della sospensione del trattamento, non legale sul piano legislativo né su quello etico-cristiano, ma fortemente sostenuta dalla famiglia Englaro che voleva porre fine a quello che considerava un accanimento terapeutico.

Nessuna legge in Italia – Gli scontri sulla questione nascono dal fatto che in Italia non c’era al tempo e non c’è tuttora una legge che stabilisca quali siano i casi in cui è legittimo porre fine a una vita, ed è per questo che Beppino Englaro, padre della ragazza, ha lottato aspramente per far valere la sua volontà presentando numerose istanze in tribunale e rivolgendosi direttamente alle autorità più alte. Il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano accolse la richiesta di Beppino Englaro, ma il caso finì subito in Cassazione, la cui Corte emanò una sentenza, passata alla storia, che denunciava la mancanza di una legge apposita che regolasse il trattamento del paziente in stato di coma vegetativo permanente. Nonostante i successivi repentini movimenti della politica per colmare il vuoto legislativo, il 6 febbraio 2009 Eluana Englaro smise di ricevere l’alimentazione artificiale che la teneva in vita e, tre giorni dopo, si spense.

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Piergiorgio Welby: diritto all’eutanasia – Alcuni ritengono che Eluana Englaro sia stata uccisa, altri che i genitori hanno avuto pietà di lei e l’hanno lasciata andare senza trattenerla oltre in uno stato che definivano “non vita”. Allo stesso modo, proprio di “non vita” parlava Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare e costretto perciò su un letto con trattamenti di alimentazione e respirazione artificiali. Le sue facoltà cognitive erano intatte ed è per questo che durante la sua malattia si adoperò fortemente chiedendo la sospensione delle cure che lo tenevano in vita. Facente parte dell’Associazione Luca Coscioni, ha sostenuto fino alla fine il diritto all’eutanasia e la presenza di una legge che lo tuteli muovendo nel rispetto della vita vera, non quella che lo costringeva immobile. Piergiorgio Welby morì secondo sua volontà il 20 dicembre 2006, e, nonostante le inchieste più volte aperte, il medico che staccò il respiratore fu dichiarato operante nel pieno della professionalità etica. Ad oggi, nel 2015, l’eutanasia non è ancora un diritto riconosciuto in Italia, a differenza di altri Paesi europei, e l’assenza di leggi che ne regolamentino la legittimità lascia un vuoto profondo.

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