Donne e lavoro: la nuova ricerca Istat sulle donne, il lavoro e la maternità.
Donne, lavoro e natalità – “Avere figli in Italia negli anni 2000” è il titolo del nuovo rapporto Istat che riguarda donne e lavoro e natalità. Questa indagine recentissima analizza, con dati statistici dal 2002, il calo della natalità in relazione alle donne e al lavoro. L’introduzione recita così: “La forte riduzione della natalità nel nostro Paese e le conseguenze sull’equilibrio del sistema della popolazione sono a tutti evidenti”. In ogni caso, il calo della natalità non ha riguardato il primo figlio: “Ne deriva che i vincoli che limitano la fecondità italiana e che hanno fatto conquistare all’Italia il primato tra i paesi meno prolifici intervengono non solo sulla decisione di avere o meno un figlio, ma anche su quella di averne più di uno”.
Donne e lavoro: divario di genere – Sebbene l’occupazione femminile sia aumentata dello 0,1%, in Italia il mercato del lavoro è caratterizzato da una forte presenza maschile: più del 64%. In ogni caso, quando le donne trovano lavoro, devono confrontarsi con un forte divario di genere: i dati Istat riportano che gli uomini guadagnano almeno il doppio rispetto alle donne; assenza quasi totale rispetto alla tutela nel periodo della maternità. Dall’indagine “Avere figli in Italia negli anni 2000” risulta che il 22% delle donne intervistate nel 2012 all’inizio della gravidanza, non avevano più un lavoro circa 4 anni dopo la nascita del figlio o della figlia. La conciliazione tra lavoro e famiglia, così, diventa il principale vincolo alla fecondità per le donne.
Donne e lavoro: discriminazione subdola – Tuttavia, oltre alla discriminazione evidente riguardo ai salari più bassi e alla mancanza di tutele, le donne subiscono un penalizzazione più subdola. Lo stereotipo delle donne adatte a eseguire solo alcuni lavori, persiste nella società italiana; non è necessario studiare i dati del Global Gender Gap Report, basta solo saper osservare quotidianamente. Inoltre, in vista della prospettiva lavorativa, le donne sarebbero portate a scegliere maggiormente le facoltà umanistiche, allontanando quelle più scientifiche (ingegneria, matematica etc) considerate erroneamente “maschili”, superando gli uomini nella preparazione scolastica e universitaria.
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