Partendo dalla tesi Freudiana sull'uomo dell'Esodo, Romeo Castellucci conclude in suo percorso nel mistico laico intorno alla figura di Mosè
E’ sempre un esperienza extra-sensoriale assistere ad uno spettacolo di Romeo Castellucci, pervade tutti i sensi, consci ed inconsci a nostra disposizione, un immersione totale e coinvolgente nel suo immaginario visionario ed onirico. Ci si sente come la madre apparente di quel bambino disperso a cui viene prescritta una risonanza magnetica poiché ha partorito senza nessuna gravidanza. E’ come entrare in quel tubo dell’apposito macchinario adagiati su di un lettino e lasciarsi una volta entrati radiare dal campo magnetico dalle sensazioni provocate del regista cesenate che tutto il mondo ci invidia.
Ma partiamo dal principio dove mentre ci si accomoda fra le poltrone scarlatte del Teatro Argentina, dove Go Down, Moses ha debuttato in prima nazionale il 9 gennaio e ci resterà fino al 18, simultaneamente sul palcoscenico in un contenitore rettangolare ed asettico e sfumato da un sudario in proscenio a vista fanno la comparsa alcune persone dapprima spaesate e attonite, si aggirano osservando e poi prendendo possesso dello spazio ci rifrangono. Un riflesso connaturato di noi stessi che siam dall’altra parte del velatino che ci separa da loro, poi all’improvviso una donna tira fuori una gigantografia de The young hare di Albrecht Durer, dipinto nel 1502, che raffigura un coniglio e la affigge sulla parete allora i gesti diventano ripetitivi e scollegati dall’azione, quasi sartoriali, per poi dissolversi nel nulla. Immagini rubate trasfigurate da un effetto Istagram su di un nero abissale, un buio cosmico.
Una bobina in proscenio ad alta velocità fagocita e tritura quelle presenze/assenze rappresentate da masse di capigliature che calano dall’alto senza corpi che le abitano, quello che resta di decomposizioni eterne.
Una giovane donna di cui non si nota traccia di maternità è colta da improvviso malore e perdita di immane vivido liquido mestruale, si scopre essere madre di un bambino mai concepito, e mai abbandonato in un cassonetto, questa ragazza sprovveduta e disconnessa sembra essere quella Nannina de Il miracolo di Roberto Rossellini dove una giovane Magnani posseduta da un pastore con somiglianze divine concepisce un bambino credendolo un nuovo Messia, ma ci sono anche influssi che provengono direttamente da Jodorowsky con il suo La Montagna Sacra. Insomma una presunta gravidanza per un presunto Mosè – la guida del popolo ebraico narra nell’Esodo – d’altronde alla richiesta dell’ispettore di polizia che si prende cura della ragazza di dove si debba cercare il bambino la puerpera paranoica risponde: ‘cercare non serve a niente, si cerca per perdere tempo…’.
La ricerca è assolutamente un atto improduttivo, non serve a niente, lasciarsi sedurre bisogna invece e procrastinare qualsiasi giudizio o commento, la realtà dei fatti è questa. Quanti animali per terra e quel Mosè rappresentato dallo spaurito coniglio di Durer posto sul calpestio del palcoscenico dalla ragazza per dispiegarlo e poi rannicchiarcisi sopra è un atto quasi edipico al contrario in cui invece di un figlio che vuol ritornare al grembo materno è la donna a volersi ritrarre, rintanare, scomparire dentro quel feto maschile mai concepito, mai nato.
A conclusione di un trittico inaugurato con il discusso quanto contestato Sul concetto di volto nel Figlio di Dio su di un figlio alle prese con un padre malato proseguito poi con Il velo nero del pastore tratto dal racconto di Nathaniel Hawthorne ed ora attraverso la visione monoteistica Freudiana di Mosè la Societas Raffaello Sanzio, con la coproduzione del Teatro di Roma di Antonio Calbi, giunge alla tappa finale, conclusiva con Go down, Moses. Ma è un ripartire dalle origini, un riecheggiare ad un pianeta delle scimmie con bisogni primordiali e scoperta dell’altro da sé, un antro ereditario ed oscuro che il solo passaggio di una figura umana si illumina magicamente come una pennellata armonica su di un quadro immaginario. Rovesciamento della clessidra di persone normali con bisogni normali ed anche un S.O.S. lanciato dal palcoscenico alla platea può rappresentare la segnaletica dell’assunto poetico di Romeo Castellucci.
Mario Di Calo
GO DOWN, MOSES
di Romeo Castellucci
regia, scene, luci, costumi di Romeo Castellucci
testi di Claudia Castellucci e Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
una Produzione Socìetas Raffaello Sanzio
in co-produzione con:
Théâtre de la Ville with Festival d’Automne à Paris; Théâtre de Vidy-Lausanne;
deSingel International Arts Campus /Antwerp; Teatro di Roma; La Comédie de Reims
Maillon, Théâtre de Strasbourg / Scène Européenne; La Filature, Scène nationale-Mulhouse,
Festival Printemps des Comédiens; Athens Festival 2015, Le Volcan, Scène nationale du Havre; Adelaide Festival 2016 Australia; Peak Performances 2016, Montclair State-USA;
con la partecipazione del Festival TransAmérique-Montreal
dal 9 al 18 gennaio al Teatro Argentina di Roma in prima nazionale
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