Titania ed Oberon decidono di scendere sulla terra per risvegliare negli uomini il desiderio e la passione ma si troveranno invischiati nei complicati meccanismi che regolano i rapporti fra il genere umano.
Peter Stein ritorna sul luogo del delitto rimettendo in scena per conto del Teatro di Roma il testo rivelazione del drammaturg tedesco Botho Strauss che mise in scena alla Schaubuhne am Lehiner Platz nel 1984 Der Park (Il Parco) e che consolidò il sodalizio fra l’autore e uno dei più grandi maestri della scena europea. Lo spettacolo si ispira dichiaratamente al Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare anzi potremmo addirittura definirla una riscrittura vera e propria in chiave contemporanea del capolavoro shakespeariano. Tradotto dal tedesco da Roberto Menin narra di Oberon e Titania che all’epoca erano interpretati da Utte Lampe e Bruno Ganz e per la versione italiana i bravissimi, assortiti e generosi Maddalena Crippa e Paolo Graziosi. Dunque le due divinità decidono di scendere sulla terra, nella notte di San Giovanni, per farsi uomini e redimere l’umanità in una specie di fantastica e surreale visione escatologica. Ma le previsioni sono molto più tragiche di quanto pensassero e quindi decidono di trattenersi. Si dà il caso che Oberon per punire Titania sempre a caccia di uomini e soprattutto per liberarla dall’ossessione terrena di un ragazzo nero, del quale però è innamorato non ricambiato anche Cyprian, un’elaborazione invecchiata, fattucchiera ed alchimista dello spiritello Puck ben più noto, e ad interpretarlo è il sensibile e commovente Mauro Avogadro, che ci dedica un bellissimo canto del cigno, morirà tragicamente violentato in scena vittima del suo stesso desiderio.
Cyprian per vendicarsi di Tatania la farà ingravidare da un toro e dall’incontro nascerà un edipico Minotauro capriccioso e vanesio, un divertito e divertente Alessandro Averone. Le schermaglie amorose fra i quattro ragazzi versione di Botho Strauss sono divise fra quattro 40/50enni annoiati, viziati, xnofobi, immaturi radical chic, di candido lino vestiti, e per i quali l’amore è solo un capriccio. Sognano, semplicemente sognano dirà Oberon di loro, e non riusciranno mai ad uscire dalla loro pelle. Se poi tutta la vicenda è inserita in un contest berlinese datato storicamente nel 1983, anno in cui il testo è stato prodotto appunto, la verosimiglianza della retrodatazione risulta oggi stridente ed inefficace. Assistendo a questa riedizione (integrale, e ciò va a scapito dell’attenzione purtroppo, quattro ore risultano davvero impegnative e faticose per lo spettatore) viene da pensare per associazione di idee a Tim Crouch e al lavoro che anche lui ha fatto su alcuni personaggi shakespeariani ed in particolare sulla riscrittura del Sogno, concentrando la sua attenzione su un solo personaggio, il suo I Peaseblossom, è un altrettanta indagine crudele sull’umanità ma che al contrario conserva tutta la freschezza e la stravaganza contenuta nella commedia del Bardo.
L’accurata regia di Peter Stein dedica molta della sua attenzione a un teatro nel teatro, ad un circo amatoriale di trapezisti, a sorprendenti giocolerie, a adulti che divengono bambini e quel purpureo boccascena che sale e scende continuamente ne è la degna codificazione. Il parco nel quale compaiono i due protagonisti, apparizioni sbiadite velate da un aura di antichità, come antenati, è un cespuglio secco e raggrinzito su cui son impigliati dei kleenex sporchi per ripulirsi dopo un incontro, o stelle filanti luccicanti residui di una festa remota. La sua scena è un bosco parafrasando Luzzati. Ma è suggestivo anche quell’antro magico, sbilenco, misterioso, set cinematografico, dove il mago Cyprian, che rassomiglia un po’ al Prospero della Tempesta, prepara i suoi amuleti magici in micro-miniatura, è un luogo quasi antropologico. E si concede anche un omaggio al varietà con quel caffè-concerto in platea dove un pianista-attore allieta il pubblico per alleggerire i vari passaggi temporali e la coppia di comici da avanspettacolo abbigliati con le classiche giacchette striminzite e a quadri rappresentata qui da Fabio Sartor e Andrea Niccolini fanno a gara in bravura ed empatica simpatia. Infine arrivati al traguardo ci viene chiesto se abbiamo capito o abbiamo soltanto origliato?
“Der Park (Il parco)” di Botho Strauss
regia Peter Stein
scenografie: Ferdinand Woegerbauer
costumi: Anna Maria Heinreich
musiche: Massimiliano Gagliardi
con: Maddalena Crippa, Paolo Graziosi, Mauro Avogadro, Martin Chishimba, Gianluigi Fogacci, Graziano Piazza, Pia Lanciotti, Silvia Pernarella, Andrea Nicolini, Fabio Sartor, Arianna Di Stefano, Michele De Paola, Laurence Mazzoni, Daniele Santisi, Alessandro Averone, Carlo Bellamio e con il piccolo Romeo Diana in alternanza con Flavio Scannella.
produzione: Teatro di Roma
Teatro Argentina, Roma fino al 31 maggio
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