Americani/Glenngarry Glen Ross e American Buffalo di David Mamet con le regie rispettive di Sergio Rubini e Marco D'Amore inaugurano la nuova stagione dei teatri Eliseo e Piccolo Eliseo con la rinnovata direzione artistica di Luca Barbareschi. Una trilogia/panoramica americana che oggi si completa dopo un anticipo della scorsa stagione con China Doll con Eros Pagni e la regia di Alessandro D'Alatri.
Per le due anteprime che aprono i battenti per la seconda stagione del Teatro Eliseo (Piccolo e Grande) di Via Nazionale di Roma l’occasione è ghiotta, due serate il cui incasso è stato interamente devoluto a progetti artistici che interessano la ricostruzione e la rivalutazione delle zone terremotate. Grande affluenza dunque per una grande solidarietà da parte di artisti sensibili e pubblico di affezionati accorso per sostenere l’iniziativa. Americani/Glengarry, Glen Ross e American Buffalo (ma c’era già stato la scorsa stagione China Doll con la regia di Alessandro D’Alatri la scorsa stagione) a completare una trilogia all’Eliseo e al Piccolo Eliseo per la regia rispettivamente di Sergio Rubini e Marco D’Amore. Sergio Rubini, che fu interprete con Luca Barbareschi nel 1983 di American Buffalo, si cimenta nel doppio ruolo di direzione degli attori e interpretazione principale del testo di David Mamet – da cui fu tratto anche un film nel 1992 – mentre ancora è vivo il ricordo della precedente edizione del Teatro Stabile di Genova con un nutrito e valente gruppo di interpreti e la regia di Luca Barbareschi, (direttore artistico oramai conclamato delle due sale di Via Nazionale nonché produttore dei due spettacoli) non è da meno la compagine attuale che include il meglio della scena contemporanea: Gianmarco Tognazzi, Francesco Montanari, Roberto Ciufoli, Federico Perrotta con una piccola digressione artistica per Giuseppe Manfridi conosciuto come autore e che come attore se la cava egregiamente, una vera rivelazione, e il bravissimo Gianluca Gobbi.
Ma che siamo Americani noi? Chiede il personaggio che interpreta Sergio Rubini, difatti l’adattamento da lui stesso curato con Carla Cavalluzzi, su traduzione di Barbareschi, da una Chicago in cui è ambientato il dramma veniamo catapultati in una Roma anni ottanta, fra immobiliaristi che per sopravvivere in un contesto feroce e senza scrupoli sono costretti a farsi le scarpe l’uno con l’altro. Contatti di clienti scalcagnati, scambiati a suon di ricatti e parcelle su parcelle. Con zone immobiliari che vanno dalla profonda Nomentana, Colle Fiorito a Casal Palocco. La competitività messa in atto da un sistema arrivistico tira fuori da ognuno di loro la parte più meschina e prepotente. Un furto all’interno della stessa organizzazione è il pretesto affinché ancora una volta homo homini lupus si ritrovi lupo fra i lupi. L’itala translazione risulta ancora più agghiacciante e feroce se a difendere il posto di lavoro siamo in un paese dove il diritto all’occupazione non è più una condizione essenziale neanche per le istituzioni figuriamoci in una rampante società immobiliare. Il sestetto di interpreti principali anche se necessità di un maggiore amalgama fa a gara in bravura e in distinguo di originali personalità artistiche.
Per quello che riguarda invece American Buffalo il regista Marco D’Amore – anche interprete – si rivolge per un adattamento partenopeo alla firma di Maurizio De Giovanni – l’autore de I bastardi di Pizzofalcone. Siamo dalle parti di Scampia, per un nuovo episodio di Gomorra, nella periferia urbana più nota più per la serie televisiva che per la reale problematicità. Una turpitudine di sentimenti contrastanti. Tre uomini anche qui lottano per la sopravvivenza. Una monetina rara di provenienza, americana forse, mette in moto un meccanismo irresistibile fra il tragico e il comico. In un anfratto – che ricorda molto quello in cui si rifugiano i fratelli Saporito de Le Voci di dentro – un ammasso di paccottiglia ‘recuperata’ chissà dove interagiscono i tre personaggi. Un luogo sospeso ove trovare riparo, confrontare e suffragare la propria disperata solitudine. Dove a reminiscenza del titolo: American Buffalo, c’è una bandiera degli States che serve da tovaglia per poker clandestini e un consunto teschio in capo alla porta d’ingresso di un bufalo centenario, nulla più. Nella traduzione riuscitissima lo yankee’s slang sfugge agli interpreti, scappa di bocca, richiede di imporsi, quasi un dialogo possibile fra napoletano e americano alla Pino Daniele. Nun te l’è mparate ancora l’inglese, no? Chiede difatti Don a ò Prufessore. Marco D’amore ci regala un’interpretazione di cesellata ricchezza, Vincenzo Nemolato è un Roberto di tenera impudicizia e su tutti Tonino Taiuti uno degli attori più bravi e meno apprezzati di quella Napoli irriconoscente e spietata soprattutto con i suoi figli migliori.
Americani/Glengarry Glen Ross di David Mamet
traduzione Luca Barbareschi
adattamento di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi
con Sergio Rubini, Gianmarco Tognazzi, Francesco Montanari, Roberto Ciufoli, Gianluca Gobbi,
Giuseppe Manfridi, Federico Perrotta
regia Sergio Rubini
scene Paolo Polli
costumi Silvia Bisconti
luci Iuraj Saleri
produzione Teatro Eliseo
American Buffalo di David Mamet
adattamento Maurizio de Giovanni
con Marco D’Amore, Tonino Taiuti, Vincenzo Nemolato
regia Marco D’Amore
scene Carmine Guarino
costumi Laurianne Scimemi
luci Marco Ghidelli
sound designer Raffaele Bassetti
produzione Teatro Eliseo
Teatro Eliseo, Piccolo Eliseo
Via Nazionale, Roma fino al 30 ottobre
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