Non si conosce con certezza l’esatta origine del termine “cocktail” e neppure il nome di chi ha preparato il primo drink. Nel lontano 1806, alcuni gruppi della società americana lo definivano come “una volgare ma stimolante bevanda amarognola a base di superalcolici, zucchero e acqua”.
Non si conosce con certezza l’esatta origine del termine “cocktail” e neppure il nome di chi ha preparato il primo drink. Nel lontano 1806, alcuni gruppi della società americana lo definivano come “una volgare ma stimolante bevanda amarognola a base di superalcolici, zucchero e acqua”. Si poteva trovare in commercio una vasta gamma di miscele, presumibilmente destinate a quei membri della comunità meno integerrimi che non erano contrari a occasionali manifestazioni di volgarità nelle loro case.
Il primo libro di ricette di cocktail – Il primo libro di ricette sulla preparazione dei cocktail fu pubblicato nel 1862. Intitolato How to Mix Drinks ( “Il grande libro dei drink”) o The Bon-Vivant’s Companion (“Il manuale del vero gaudente”), questo libro fu scritto da un famoso barman dell’epoca detto Jerry “Il Professore” Thomas e divenne un best seller. L’epoca del jazz fece conoscere questi drink fenomenali “mescolati e shakerati” a un mondo più esteso e molte storie riguardanti l’origine del termine “cocktail” risalgono proprio a quel periodo. Per la maggior parte, queste leggende parlano di combattimenti di galli, di graziose fanciulle e di uomini galanti e valorosi; ma vi è un altro rivale, un farmacista di New Orleans, nato in Francia, di nome Antoine Amedee Peychaud. Creatore di una sua gamma di amari, Monsieur Peychaud offriva ai clienti della sua farmacia degli intrugli serviti nei portauova. I suoi drink divennero famosi con il nome di “coquetier” (in francese portauovo), termine che, secondo la leggenda, nel giro di poco tempo, venne americanizzato in “cocktail”.
Cocktail e Proibizionismo – La popolarità dei cocktail crebbe rapidamente negli anni ’20, quando l’arrivo del Proibizionismo mise a dura prova l’abilità del barman. Infatti, per accontentare i propri clienti, i barman dovettero creare nuovi sistemi per trasformare il gin di contrabbando o di infima qualità in qualcosa di più gradevole e la soluzione era quella di camuffare il sapore con qualunque cosa fosse a disposizione. I bar non erano più luoghi esclusivamente riservati agli uomini stanchi della vita. Ora, mogli e fidanzate iniziavano ad accompagnarli nei locali clandestini dove gli alcolici erano venduti illegalmente e dove si entrava bussando secondo un codice prestabilito: così i cocktail diventarono i drink del giorno. Più i nomi dei cocktail erano stravaganti e suggestivi, più erano apprezzati dai clienti, che si lasciavano sedurre dalla loro aura di decadenza e di fascino illecito. Tre quarti dei classici cocktail che oggi vengono ordinati al bar, tra cui il Martini e il Daiquiri risalgono a prima dell’inizio del XX secolo, ma fu il Proibizionismo ad assicurarne l’immortalità. Nel 1929 vi erano già in circolazione oltre 120 ricette per la preparazione del Martini.
Cocktail, dagli albori ad oggi, una squisita rivelazione – Inizialmente i cocktail erano tendenzialmente corti e forti e il loro ingrediente principale era l’alcol. I clienti desideravano un drink da trangugiare rapidamente e preferivano non restare seduti a guardare lo stesso bicchiere troppo a lungo. Oggi, sembra proprio che avvenga l’esatto contrario. Gran parte dei cocktail sono lunghi e freschi e l’alcol è abbondantemente diluito con succo di frutta o acqua minerale; inoltre, si tratta di un momento piacevole per rilassarsi. Durante il XX secolo, molti barman divennero leggendari quanto la loro clientela di personaggi celebri. Tra i più famosi c’erano Giuseppe Cipriani, che creò il Bellini all’Harry’s Bar di Venezia, e Johnny Brooks che, al New York’s Stork Club, pare abbia preparato i Martini più secchi della città per clienti famosi come Ernest Hemingway e Marlene Dietrich. Un altro fu Don Beach, che, nel suo ristorante Beachcomber di Hollywood, serviva lo Zombie e altre sessantadue bevande esotiche dell’élite della capitale del cinema.
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