La Rosaura di Pier Paolo Pasolini personaggio che discende direttamente da La vita è Sogno di Calderon de la Barca fa tre sogni premonitori, tre fallimenti, tre momenti per capire a distanza di qualche anno il fallimento purtroppo di certe ideologie rivoluzionarie. Ancora una volta Pasolini si rivela premonitore e allarmante nella sua necessità di fotografare una società in disfacimento.
Per questo dramma Pier Paolo Pasolini, scritto nell’estate del 1966 e pubblicato da Garzanti in prima edizione nel 1973, si ispira dichiaratamente a Pedro Calderon de la Barca e al suo La vida es sueno titolandolo onorificamente e provocatoriamente al poeta e drammaturgo spagnolo: Calderon! E in effetti in Spagna siamo, nella Spagna franchista del 1967, poco prima della primavera del 68. Rispettando la trama del dramma originale lo scrittore friulano prende a prestito i tre personaggi principali Calderoniani: Rosaura, Basilio e Sigismondo per costruire un apologia intorno alla diversità: diversità politica e diversità ideologica. Un percorso come sempre autobiografico che Pasolini compie in progressione in tutte le sue opere, per lui è imprescindibile la propria tormentata esistenza, soprattutto per chi assunse un impegno civile come lui.
Tre grossi tronconi narrativi attraverso l’allegoria di tre sogni, ritroviamo dapprima una Rosaura poco più che bimbetta tra delirio e realtà la quale si innamora di Sigismondo che poi scoprirà essere stato amante di sua madre e da quell’incontro ne nacque lei, nel secondo sogno la ritroviamo prostituta che si innamora perdutamente del sedicenne Pablo, figlio concepito e poi dimenticato ed infine una Rosaura adulta e matura, piccolo borghese, che perde la ragione e poi rinsavisce per concepire una lucida cronaca dei fallimenti di tutte le sinistre del mondo. Per Federico Tiezzi, regista dello spettacolo, formalmente inconfutabile, mettere in scena questo testo rappresenta un’affrontare fantasmi di un passato non troppo remoto, e lo fa approfittando del calore della platea incuriosita del Teatro Argentina di Roma (il Teatro di Roma e la Fondazione Teatro della Toscana sono i produttori) ove lo spettacolo è in scena fino all’8 maggio, il calore e l’attenzione di quel pubblico scioglie quei personaggi ibernati dal tempo, consapevole di una loro anacronistica concretezza, quasi un dovere morale che porta a fare i conti con un fallimento generazionale, se non politico.
Dal canto suo il regista toscano tratta con mano sicura, decisa questo mastodontico, colossale materiale – tre stasimi e sedici episodi – e con la complicità drammaturgica di Sandro Lombardi e Fabrizio Sinisi riduce la mole della serata ad una durata unica di due ore e venti senza intervallo. Un’enorme scatola neutra o forse una stanza della tortura che ricorda le pareti Magrittiane di alcuni suoi dipinti surrealisti fa da contenitore ai vari passaggi epocali che rappresentano la formazione umana e sociale di Rosaura (la consapevolezza del fallimento) con una straordinaria dominanza del bianco e del nero esaltando l’effetto glaciazione delle bellissime e terse luci, Tiezzi scompone ulteriormente le scene in piccolissime infinitesimali sotto-scene, dei frammenti fermo-immagine, in mezzo a questi igloo se qualche tocco di colore c’è, lo ritroviamo nei costumi, e viene direttamente dalla tavolozza di Picasso mentre dipingeva I giocolieri (costumi fantastici di Giovanna Buzzi e Lisa Rufini). Gli interpreti tutti ineccepibili: dalle tre Rosaure, una più brava dell’altra fra cui spicca per maturità artistica Debora Zuin a Graziano Piazza come Sigismondo, uno joker burlone, colto e ben introdotto nel fermento intellettuale dell’epoca, gioca inoltre con il dettato pasoliniano con una padronanza sopraffina. Infine la coppia ben assortita dei più maturi Francesca Benedetti e Sandro Lombardi che sono il vero gioiello della serata.
Calderon di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi
con Sandro Lombardi, Francesca Benedetti, Camilla Semino Favro, Arianna Di Stefano, Sabrina Scuccimarra, Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Ivan Alovisio, Lucrezia Guidone, Josafat Vagni, Debora Zuin, Andrea Volpetti
scene Gregorio Zurla
costumi Giovanna Buzzi e Lisa Rufini
regia Federico Tiezzi
produzione Teatro di Roma e Fondazione Teatro della Toscana
Teatro Argentina, Roma fino all’8 maggio
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