Antonio Padellaro, fondatore de "Il Fatto Quotidiano", ci spiega com'è cambiato il giornalismo e il ruolo del giornalista nell'epoca del web
Intervista ad Antonio Padellaro, fondatore e presidente de “Il Fatto Quotidiano”, nell’ambito del dibattito “Il ruolo del giornalista e della stampa nella contemporaneità – Come cambia l’editoria e il ruolo del giornalista nell’epoca del web”, organizzato dall’organo studentesco “Sapienza in movimento” e svoltosi presso la sede del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza.
Di seguito l’intervista ad Antonio Padellaro
Quanto può dirsi “esclusivo” il ruolo del giornalista nell’epoca dell’informazione 2.0?
A.P. Esclusivo nella misura in cui si riesca a portare al lettore qualcosa che ancora non conosce. Il giornalismo che ”conta” oggi è quello sorprendente: quello che non funziona più è il ricalcare notizie già date poiché l’urgenza di tutti, ormai, è quella di conoscere notizie che non sappiamo.
Per quanto riguarda l’editoria, quanto ci ha perso e quanto ci ha guadagnato con il web?
A.P. Ho l’impressione che fino a questo momento non ci abbia guadagnato; la carta ha sempre avuto la caratteristica del “cash”, del rapporto lettore-giornale: questo ha permesso soprattutto negli anni ’80-’90 una grande prosperità dei giornali che potevano avere un grande mercato dei cosiddetti “collaterali” (libri, dischi) oggi del tutto scomparsi. Il web è di certo più affascinante anche in quanto frontiera ancora inesplorata, ma purtroppo gli introiti delle pubblicità non sono sufficienti a coprire le spese sostenute.
Quanto è reale, oggi in Italia, la libertà di stampa e di informazione?
A.P. I fatti difficilmente sfuggono all’informazione, abbiamo ancora un certo pluralismo assicurato ed è possibile avere la voce dell’opposizione: ci sono i piccoli giornali come lo stesso “Il Fatto Quotidiano”, “Il manifesto” o anche “Libero”, e poi ancora emittenti televisive di ogni tipo. Insomma, quello che succede si sa. Quello che manca invece è un’analisi approfondita, vigorosa ed efficace del perché le cose accadono, cosa succede dietro le quinte, cosa si nasconde dietro certi fatti che noi leggiamo ma dei quali non conosciamo la genesi; ecco, questo lo possiamo leggere ancora su pochi giornali e organi di stampa e Il Fatto Quotidiano cerca di fare il massimo da questo punto di vista.
Quali consigli si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere la strada del giornalismo?
A.P. Innanzitutto seguire i corsi post-universitari, le scuole di giornalismo, in Italia numerose e quasi tutte accreditate, perché danno la possibilità di fare stage grazie ai quali si viene inseriti all’interno di un contesto reale di redazione strutturata in cui mettersi alla prova. E’ da tener presente però, che si va sempre più verso un mondo di freelancer, dove i contratti a tempo indeterminato stanno scomparendo anche nel nostro settore.
Quali dovrebbero essere le caratteristiche proprie di un giornalista?
A.P. La principale dote necessaria è la curiosità: questo significa che qualsiasi cosa leggiamo mette in moto un meccanismo a catena per cui vogliamo sapere di più, vogliamo andare noi ad indagare, a scavare per capire cosa c’è dietro. E poi l’accuratezza, perché un difetto orrendo invece è la superficialità. Bisogna essere precisi, i nostri lettori non comprano solo il nostro giornale ma anche la nostra professionalità e, per l’appunto, la nostra accuratezza.
Stefania Severini
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